Ai tempi del vecchio Luigi Guffanti il lavoro del “cacciatore di formaggi” si svolgeva percorrendo a cavallo o a dorso di mulo le valli alpine, dove la maggior parte della popolazione si dedicava alla lavorazione del latte e del formaggio.
Oggi i produttori artigianali di quei formaggi sono rimasti in pochi, ma d’estate portano ancora le loro piccole mandrie di bestiame fino a oltre duemila metri per poter sfruttare i pascoli alpini, vivendo per alcuni mesi in piccoli edifici di pietra privi di tutte le comodità moderne, compresa la corrente elettrica. Fare visita a questi produttori significa percorrere diversi chilometri di sentieri ripidi, proprio come ai tempi di Luigi Guffanti. Per portare a valle le forme prodotte si utilizzano ancora i muli, anche se in qualche caso negli ultimi anni si è cominciato a sperimentare l’uso dell’elicottero, il cui costo elevato è ormai coperto dal valore di questi rari formaggi.
Anche per quanto riguarda l’affinamento dei formaggi non molte cose sono cambiate dall’epoca di Luigi Guffanti.
Gli impianti di refrigerazione danno sicuramente una mano in più, ma i locali di stagionatura, chiamati ancora “grotte”, si trovano sotto il livello del suolo per evitare il più possibile gli sbalzi stagionali. Ma il valore di una grotta non è dato solo dalle sue condizioni climatiche, perché il suo vero segreto (oltre alla competenza di coloro che la gestiscono) è la particolare fauna batterica che vi si crea, la vera responsabile della perfetta maturazione dei formaggi. Tanto che una grotta nuova richiede molti anni di esercizio prima di assumere tutte le caratteristiche richieste. Gli stessi materiali e strumenti utilizzati nelle operazioni di affinamento sono sempre quelli di una volta: scaffalature di legno, periodicamente raschiate per la pulizia, dove le forme vengono poste a stagionare, acqua, sale e aceto per lavare le croste, martelletti e tassellatori per saggiare la consistenza e la maturazione delle forme.
Guffanti oggi cerca di sviluppare il concetto di “allevatore” di formaggi.
A partire dagli anni Sessanta, infatti, con la sempre maggiore diffusione delle produzioni industriali nel campo alimentare, i prodotti tradizionali, provenienti da ambienti particolari, lavorati artigianalmente e secondo metodologie antiche, sono diventati praticamente ignoti alla maggioranza dei consumatori, che dovrebbero invece essere prima di tutto informati, “acculturati” sulle particolari proprietà e caratteristiche di questi prodotti. Guffanti è in prima fila in quest’opera, anche tramite pubblicazioni, seminari e laboratori del gusto, che sempre più spesso accolgono il formaggio come uno dei prodotti italiani più importanti accanto al vino, al pane e alla pasta, all’olio, ai salumi.
Essere “allevatori” di formaggi significa – nel 2020 – essere sempre sul campo.
Si ricercano produzioni che rispettino innanzitutto il benessere animale, tenendo conto dell’alimentazione e dei naturali periodi di lattazione. Ci si deve confrontare con il problema della stagionalità del latte, facendo dunque affidamento su due o tre diversi produttori per tipologia di formaggio, fra loro qualitativamente comparabili. I produttori sono ricercati nel rispetto di due criteri: il benessere dell’animale e la cura del prodotto, data anche dall’utilizzo di strumenti tradizionali in legno e rame per la cagliatura. Infine, le cantine, dove ci si occupa della vera e propria finitura del formaggio; si cerca di dargli un valore aggiunto, quel qualcosa in più che solo una buona stagionatura può garantire.
L’idea dell’allevatore di formaggi nasce proprio dall’idea che il formaggio sia un prodotto vivo, frutto della coagulazione del latte, per cui si evolve, cresce, segue un cammino proprio. Alla Guffanti piace l’idea di prendere per mano il formaggio e di accompagnarlo in un percorso di crescita.
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